Quando si parla di scrittura in italiano, è impossibile non citare le celebri 40 regole di scrittura di Umberto Eco. Pubblicate nella sua storica rubrica La bustina di Minerva su l’Espresso, queste linee guida sono diventate un punto di riferimento per chi lavora con le parole.
La loro particolarità sta nel fatto che Eco le presenta infrangendole una per una e dimostra con ironia e intelligenza gli errori da evitare. Alcune riguardano la costruzione delle frasi, altre la grammatica e il lessico, tutte offrono spunti per migliorare la chiarezza e l’efficacia della scrittura.
Dal 1985 fino alla sua scomparsa nel 2016, Eco ha curato La bustina di Minerva con grande regolarità: prima ogni settimana, poi con cadenza quindicinale dal 1998. La sua voce ha accompagnato generazioni di lettori, e ci ha lasciati un’eredità preziosa.
Oggi, nell'era digitale, il modo in cui scriviamo su blog e social media è cambiato, ma queste regole restano attuali. Seguirle ci aiuta a comunicare in modo più chiaro e incisivo, senza cadere in banalità o inutili artifici.
Origine delle 40 regole di scrittura: un elenco che esisteva già
Le 40 regole di scrittura di Umberto Eco non sono un'invenzione completamente sua. Prima che Eco le adattasse alla lingua italiana, circolavano già da tempo tra giornalisti e scrittori, passando di mano in mano via email, in un’epoca in cui Google non era ancora il motore di ricerca onnipresente che conosciamo oggi.
L'idea originale risale al 1979 ed è attribuita a William Safire, editorialista del New York Times, che nella sua rubrica On Language pubblicò una serie di suggerimenti linguistici intitolati Fumblerules of Grammar, dove fumble, nel gergo del football americano, indica una palla persa, a sottolineare gli scivoloni grammaticali più comuni. Il primo elenco contava 36 regole, ma nel suo libro Fumblerules: A Lighthearted Guide to Grammar and Good Usage ne aggiunse altre 18.
Quando Eco riprese questo testo, lo adattò per renderlo più adatto alla lingua italiana e al nostro contesto culturale. Ancora oggi, alcuni le considerano regole scontate, ma la loro efficacia nel far riflettere sulla scrittura resta indiscutibile.
Le 40 regole di scrittura di Umberto Eco
Riporto le 40 regole di scrittura di Umberto Eco. Ti consiglio di leggerle con cura per apprezzarle e metterle in pratica. Sotto ad alcune regole, trovi un mio commento.
1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.
L’allitterazione è una figura retorica, cioè uno di quegli strumenti tecnici che usiamo quando costruiamo un testo. Si tratta di ripetere suoni simili (di solito lettere o sillabe) all’interno di parole vicine. Il risultato? Un effetto sonoro che può piacere… oppure no.
Nella poesia è usata per dare musicalità, nel marketing aiuta a fissare un messaggio nella testa (pensa agli slogan). Ma nella scrittura creativa può diventare un fastidio, soprattutto se non è voluta.
2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.
Sì, qui il congiuntivo è usato apposta. La forma corretta è: che lo si usi quando necessario.
Se scrivi si usa, sei finito dritto nell’indicativo presente.
Il congiuntivo è quella creatura strana che tutti conosciamo, ma che spesso maltrattiamo. Te lo ricordi? Quello che la maestra ci faceva iniziare con il famoso che:
che io fossi,
che tu fossi,
che egli fosse...
E via così, inciampando qua e là.
3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.
- Una rondine non fa primavera
- Non ci sono più le mezze stagioni
- Si stava meglio quando si stava peggio
Li conosci, vero? Quei modi di dire che ormai si ripetono in automatico, come se avessero il pilota inserito.
Nel dialogo tra personaggi possono anche starci, se servono a farli sembrare veri. Ma nel resto del testo?
Meglio evitarli.
Sono formule consumate, già sentite mille volte. E quando le leggi, non succede niente: nessuna sorpresa, nessuna immagine nuova, nessun coinvolgimento.
Un po' come servire una minestra riscaldata, ma senza neanche il profumo.
4. Esprimiti siccome ti nutri.
Sì, esattamente.
Parla come mangi è una di quelle espressioni che, pur essendo colorite e informali, portano con sé un consiglio chiarissimo: scrivi (o parla) in modo semplice, diretto, autentico.
Niente giri di parole, niente lessico da accademia della Crusca se non ti appartiene o non viene compreso dal tuo pubblico!
Non è un invito a banalizzare, ma a essere coerenti con il proprio tono, il proprio pubblico e, soprattutto, il proprio modo di esprimersi.
Usare parole che non ci appartengono rischia di suonare finto, innaturale, a volte persino comico.
5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.
A meno che non siate in ufficio e la vostra sia corrispondenza tecnica, evitatele.
Non servono e non fanno risparmiare tempo. Insomma: evitare la tentazione di infilare un & invece di e, di scrivere etc. quando si può semplicemente concludere bene la frase, o di abbreviare tutto come se si scrivesse ancora col T9.
6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.
Le parentesi rallentano. Distraggono. Spostano l’attenzione.
Anche quando sembrano innocue, spezzano il ritmo.
Se puoi evitarle, fallo!
Se puoi riscrivere la frase senza, procedi!
Sono utili solo quando l’informazione non può stare al centro della scena, ma ha comunque bisogno di esserci.
7. Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.
I puntini di sospensione sono sempre e solo tre! Non due, non quattro. Tranne quando ci messaggiamo con i nostri amici e ne usiamo mille, lì possiamo prenderci una licenza poetica 😉
8. Usa meno virgolette possibili: non è "fine".
Le virgolette andrebbero riservate a casi particolari: citazioni, titoli, linguaggi settoriali o toni ironici. In questo caso Eco si riferisce all'abitudine di usarle per mettere in evidenza una parola diversa dal solito. Ma spesso l’effetto è solo quello di complicare la lettura. Meglio essere chiari che strizzare l’occhio al lettore a ogni riga.
9. Non generalizzare mai.
Generalizzare è il modo più veloce per dire tutto e niente. Sono la scorciatoia di chi non ha niente da dire. I dettagli fanno la differenza, sempre.
10. Le parole straniere non fanno affatto bon ton.
Anche se ogni tanto scappa un trendy o un cool, meglio non esagerare. Dipende tutto dal contesto. In linea generale è meglio usare parole italiane: non sempre i forestierismi arricchiscono il discorso, spesso lo rendono solo più scivoloso.
11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: "Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu."
Poche, buone e scelte con criterio. Le citazioni non devono riempire i vuoti: se il pensiero è tuo, ha già abbastanza forza.
12. I paragoni sono come le frasi fatte.
l rischio dei paragoni è lo stesso delle espressioni trite: sembrano efficaci, ma in realtà appiattiscono il messaggio. E se per qualcuno hanno senso, per altri potrebbero risultare incomprensibili o fuori contesto.
13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).
Se ti senti in dovere di ribadire un concetto, forse non lo hai espresso nel modo giusto. Chi legge dovrebbe capirti subito, senza bisogno di sottotitoli.
14. Solo gli stronzi usano parole volgari.
E dato che gli bippp sono ovunque, anche nei libri non mancano. Ma non è una scusa: la volgarità, se non è funzionale al testo, stona.
15. Sii sempre più o meno specifico.
Non serve essere chirurgici, ma nemmeno vaghi. Il punto d’equilibrio? Dire abbastanza da essere chiari, senza perdersi in dettagli inutili.
16. La litote è la più straordinaria delle tecniche espressive.
Ecco un esempio di iperbole, appunto. È un'esagerazione voluta, usata per dare forza a un’idea. Ma come ogni spezia, se abbondi rischi di coprire tutto il sapore.
17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.
18. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.
Le metafore originali vanno bene, ma devono avere un senso. Se creano solo confusione o risultano forzate, meglio evitarle.
19. Metti, le virgole, al posto giusto.
20. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.
Il punto e virgola separa, ma meno bruscamente del punto. I due punti introducono qualcosa. Semplice a dirsi, meno a farsi: ma provarci non fa male.
21. Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all'espressione dialettale: peso el tacòn del buso.
Tradurre i pensieri in italiano corretto è un esercizio di chiarezza. Il dialetto ha fascino, ma rischia di essere poco comprensibile fuori contesto. E a volte è davvero peggio la toppa del buco.
22. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono "cantare": sono come un cigno che deraglia.
Una metafora bella ma fuori luogo è come un'orchestra che suona fuori tempo: stona. Se non regge il senso del discorso, meglio lasciarla andare.
23. C'è davvero bisogno di domande retoriche?
Spesso no. Possono stancare, o sembrare un tentativo di guidare il lettore dove non vuole andare. Usa le domande solo quando aiutano a pensare, non per fare scena.
24. Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe – o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento – affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.
Scrivere in modo chiaro è un atto di rispetto. I giri di parole, gli incisi infiniti e le precisazioni ridondanti appesantiscono tutto. Meglio un messaggio semplice, che arriva dritto al punto.
25. Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.
Gli errori di accento fanno inciampare anche il lettore più paziente. Né e né non sono la stessa cosa. E fa non vuole l'accento. Serve attenzione.
26. Non si apostrofa un'articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.
Sbagliare un apostrofo è come presentarsi con la camicia al contrario. Basta poco per sembrare distratti o peggio! Occhio alla grammatica.
27. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!
Lo sappiamo: quando scrivi qualcosa che ti entusiasma, ti verrebbe da aggiungere un punto esclamativo ogni due righe. Ma l’effetto è l’opposto: tutto sembra urlato, e nulla risalta.
28. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.
I termini stranieri si scrivono sempre al singolare. Non è files ma file 🙂
29. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.
Se ti prendi la briga di citare un autore, almeno scrivi bene il suo nome. Bastano due clic per controllare su Google e simili.
30. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.
31. All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).
Attirare l'attenzione con gentilezza è meglio che provocare. Inizia cercando il favore del lettore, non l’irritazione.
32. Cura puntiliosamente l’ortograffia.
33. Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.
Dire che non voglio dire che… e poi dirlo lo stesso, è solo un modo elegante per sembrare pretenziosi. O peggio, noiosi.
34. Non andare troppo sovente a capo.
Almeno, non quando non serve.
Ogni a capo dovrebbe avere un senso. Altrimenti spezza il ritmo, fa perdere il filo e dà al testo un'aria sciatta.
35. Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.
36. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.
37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.
Il discorso deve avere una direzione. Se parte bene ma finisce a caso, chi legge resta confuso. E tu perdi credibilità.
38. Non indulgere ad arcaismi, apax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differanza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competenze cognitive del destinatario.
Scrivere difficile non ti rende più intelligente. Se nessuno capisce cosa vuoi dire, forse il problema non è del lettore.
39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.
Cerca l’equilibrio: scrivi il necessario, senza esagerare. Ma non lasciare frasi in sospeso o pensieri a metà.
40. Una frase compiuta deve avere.
Un pensiero va portato fino in fondo. Altrimenti resta appeso. E il lettore, giustamente, resta col punto di domanda!
Come applicarle oggi nella comunicazione digitale
Le 40 regole di scrittura di Umberto Eco, scritte con tono ironico e tagliente, sono una provocazione e contengono insegnamenti sempre attuali. Molte di queste 'regole' servono proprio a smascherare i vizi comuni della scrittura, a ricordarci che scrivere bene non è solo una questione di grammatica ma di chiarezza, coerenza e buon senso.
1. Evita frasi lunghe
Oggi le frasi fatte annoiano. Nei post, nelle bio, nei titoli: meglio un tono personale, concreto, che parli davvero a chi legge. In ottica SEO, evita anche le keyword inserite forzatamente, che suonano come frasi fatte travestite.
2. Sii diretto, ma non sciatto
Oggi: nella scrittura online, la chiarezza vince. Attenzione a non essere troppo tecnici o pieni di sigle da addetti ai lavori. Traduci, spiega, semplifica.
3. Scrivi per chi legge, non per te
Il contenuto funziona se risponde a una domanda o a un’esigenza reale. È il cuore della SEO: intercettare intenzioni di ricerca, non fare un monologo.
4. Rileggi, taglia, snellisci.
Ogni parola in più, online, è una possibile occasione persa per mantenere l’attenzione. Un copy efficace è essenziale, senza essere spoglio.
5. La grammatica conta ancora
Oggi con l’AI, il copia-incolla e la fretta, l’errore è dietro l’angolo. La precisione fa la differenza. Fa percepire attenzione, cura, professionalità.

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6. Trova la tua voce
Oggi scrivere come parli (ma un po’ meglio) è spesso la chiave per farsi leggere e ricordare. Attenzione, serve equilibrio: naturale sì, approssimativo no.
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